Kind of blue

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L’ambiguo fascino del blu

Il blu è un colore che in passato veniva considerato prezioso ed esclusivo perché difficile da produrre. I suoi pigmenti naturali sono rari e costosi. Tra i pochi conosciuti in antichità sono da ricordare quelli derivati dalle gemme, come i lapislazzuli, utilizzati dagli Egizi nei loro affreschi. Nel Rinascimento approvvigionarsi di blu oltremare costituiva per i pittori un investimento notevole, e il colore era quindi utilizzato solo per le vesti di personaggi importanti come la Madonna, tradizionalmente ammantata di azzurro.

Una volta risolto, grazie alla chimica moderna, il problema della produzione di massa, il blu è diventato un colore che da decenni regna nell’abbigliamento, a partire dagli onnipresenti blue jeans. Viene utilizzato spesso anche nell’arredamento, perché collegato a emozioni quali calma, rilassamento e stabilità. Per questo, nonostante la sua tonalità fredda, viene consigliato per ambienti come la camera da letto.

Forse la popolarità del blu è dovuta proprio all’ambiguità di un colore che dovrebbe ispirare serenità, ma anche distacco e addirittura freddezza, e queste due polarità si trovano generalmente ben definite nei loro campi opposti nella musica popolare anglosassone e in quella italiana.

Infatti in inglese “Feeling blue” significa sentirsi tristi. L’origine di questa espressione è incerta: c’è chi la fa risalire al poeta Geoffrey Chaucer che nel Quindicesimo secolo associa il blu alle lacrime nel verso “Wyth teres blewe and with a wounded herte” (With tears blue and with a wounded heart), e chi più prosaicamente ne vede l’origine nel colore bluastro della pelle dei defunti.

Qualunque sia l’origine, la malinconia è uno stato d’animo celebrato dalla musica, forse il più celebrato insieme alla nostalgia e alle pene d’amore, bilanciate da occasionale allegria ed esuberanza. Dal lato più gioioso del blu si trova la “Rhapsody in Blue” di George Gershwin del 1924, famosa per la riuscita fusione di musica classica e jazz, e anche per essere stata utilizzata nella scena di apertura del film “Manhattan” (Woody Allen, 1979). Utilizzo non casuale, in quanto nell’intenzione di Gershwin la sua rapsodia doveva essere una celebrazione dell’intensa vita urbana e notturna dell’America della “jazz age”.

Quegli esplosivi anni ’20 degli Stati Uniti vedono anche l’incipit del Great American Songbook, definizione che indica la raccolta dei migliori brani di musica popolare americana tra gli anni ’20 e ’60, chiamati anche standard jazz. Nel Songbook almeno 12 pezzi hanno la parola “blue” nel titolo, e tra questi uno dei più famosi è sicuramente “Blue moon” del 1934, di cui esistono almeno sessanta versioni, la più recente del 2023. Considerato il momento di fiducia nel futuro che la società americana stava vivendo, si tratta di una canzone nella quale la tristezza è rivolta solo al passato, perché chi canta era solitario e infelice quando si rivolgeva alla luna blu, ma ha poi felicemente risolto i suoi problemi sentimentali.

Decisamente più malinconica è invece “Blue Velvet” del 1950, periodo in cui l’ottimismo degli anni ruggenti è già notevolmente stemperato dalla guerra fredda. Nata come canzone romantica di Tony Bennet, su una bella signora che indossava un abito di velluto blu e che lo ha abbandonato, la canzone ha echi più sinistri da quando viene associata all’omonimo film di David Lynch (1986), in cui l’elegante signora è una masochista dalle discutibili frequentazioni. Rimane però un classico del Songbook e le torbide associazioni non ne hanno scalfito il fascino, tant’è che una delle innumerevoli cover version ha raggiunto il secondo posto nelle classifiche USA nel 1990, e ci è rientrata di nuovo nel 2021, seppure in posizioni più basse rispetto alla versione di Lana Del Rey.

Non narra invece nessuna triste vicenda d’amore, ma regala atmosfere notturne, sofisticate e vagamente inquietanti, il capolavoro di Miles Davis, “Kind of Blue”, il disco jazz tra i più venduti, che si trova al 12° posto nella classifica di Rolling Stone dei migliori album di ogni tempo. Negli anni ’80 le interpretazioni del blu continuano a oscillare tra la malinconia elettronica di “Blue Monday” dei New Order e la più ottimista “True Blue” di Madonna, mentre non ci si schioda da tristi romanticherie da amore adolescenziale finito male nella recente canzone di Billie Eilish, ugualmente intitolata “True Blue”, senza avere niente a che fare con il brano di Madonna.

Dal lato opposto, per gli italiani il blu è quasi sempre un colore infantilmente rasserenante, come prova uno dei brani più famosi nella storia della musica, Volare del 1958 di Domenico Modugno e Franco Migliacci. Conosciuta anche col titolo “Nel blu, dipinto di blu”, la canzone ha venduto oltre 18 milioni di copie nel mondo, e narra la storia del protagonista che “si dipingeva le mani e la faccia di blu… e incominciava a volare nel cielo infinito”. 

L’ottimismo pervade anche “Le Mille Bolle Blu” scritta da Carlo Alberto Rossi e resa famosa da Mina, mentre l’ossessione siderale contagia anche Rino Gaetano, con “Il Cielo è Sempre Più Blu”. A ritmo di marcia, il testo di “Azzurro”, scritto da Paolo Conte e portato al successo da Adriano Celentano, si schioda solo di poco dalla banalità dei riferimenti al colore del cielo, suggerendo l’afa soffocante di solitari pomeriggi cittadini. Tuttavia, l’atmosfera è sempre estiva e positiva perché in Italia il cielo è sempre azzurro, nel caso peggiore “troppo azzurro”.

I più pragmatici anglosassoni hanno capito meglio come stanno le cose. Il cielo non solo non è sempre più blu, ma può essere decisamente grigio e persino livido e tetro. L’estate è breve e la tristezza è dietro l’angolo, come ci ricorda la biografia del già citato George Gershwin, il geniale compositore di “Rhapsody in Blue” che morì di cancro a soli 38 anni.

Se volete vedere il cielo sempre blu dovete lasciare il pianeta Terra, magari non in maniera drastica come Gershwin, ma per lo meno in veste di astronauti per viaggiare nello spazio dove il nostro pianeta visto da lontano sembra meravigliosamente azzurro e perfetto. Le immagini dello sbarco sulla Luna e della Terra vista dal nostro satellite sono quelle che hanno ispirato Brian Eno per il brano “Deep Blue Day”. Ma anche quelle eteree sonorità hanno un risvolto ironico perché nella colonna sonora di Trainspotting questo brano accompagna il tuffo del tossico protagonista nella latrina più sporca di tutta la Scozia, e ci conferma che la vita non è un volo in un cielo sempre più blu ma una gara di nuoto in acque più o meno torbide.

Daniela R. Giusti

Daniela R. Giusti

Traduttrice poliglotta, marchande de prose, fotografa commerciale, webmaster di terza classe ma pet sitter di prima. Socia Mensa.

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