Varie ed eventuali su un colore misterioso
Qualche tempo fa mi trovai a posare come modella per una piccola classe di pittura dal vero. Gli artisti erano molti, con tanti colori a disposizione, ma più della metà scelse di ritrarmi usando toni del viola. Ho trovato questo fatto strano e curioso e, quando l’ho raccontato a un’amica, lei – per nulla stupita – mi ha detto semplicemente: “Che ti aspettavi? Tu sei viola”.
Non lo intendeva in senso letterale, sono una persona dal colorito molto pallido, tant’è che mia madre l’ha sempre definito “quasi verde”. Ciò che voleva dire è che, guardandomi, il primo colore che viene in mente parrebbe sia il viola.
E non so se questa cosa mi piace, perché tanto per cominciare il viola “non esiste”. Infatti la porzione di luce visibile all’occhio umano, quando viene scomposta mediante l’utilizzo di un prisma, forma uno spettro che può essere descritto come una successione di bande di colori diversi, quello che comunemente chiamiamo arcobaleno. In questo spettro, a ogni specifica lunghezza d’onda della luce corrisponde un colore, ma il viola non c’è. Sebbene infatti le lunghezze d’onda più corte dello spettro visibile corrispondano a un colore denominato “violetto”, questo però è diverso da ciò che intendiamo come viola. Per approfondire questa sottile differenza, torniamo al 1672, quando Isaac Newton scompone un fascio di luce mediante un prisma, ottenendo una sequenza variopinta simile all’arcobaleno. Lo spettro ottenuto è un continuum di sfumature, e suggerisce che i colori possono esistere in numero indefinito, tanto quanto sono indefiniti i passaggi tra le varie sfumature, ma Newton rintraccia sette aree fondamentali che poi riporta graficamente in una circonferenza. Nasce la ruota cromatica. In questa rappresentazione i due estremi dello spettro, rosso e violetto, si congiungono e i colori che stanno in questa porzione non sono una entità fisica precisa, non corrispondono a una specifica lunghezza d’onda, ma si ottengono per sommatoria di onde agli antipodi dello spettro. Lo si può provare sovrapponendo raggi colorati provenienti da prismi differenti. Il risultato saranno tinte composte che non sono presenti nell’arcobaleno, e che vengono quindi denominate tinte non spettrali.
Anche a livello percettivo, il viola e il violetto vengono elaborati in modo diverso dal sistema visivo. Sulla retina sono presenti tre tipi di recettori responsivi al colore in condizioni di buona luminosità (visione fotopica), i coni S (Short), M (Medium) e L (Long). Ognuno di questi tipi di recettore risponde alla stimolazione di una gamma ristretta di lunghezze d’onda, i cui picchi di assorbimento sono 430 nm per i coni S (blu), 530 nm per i coni M (verde), 560 nm per i coni L (rosso), inviando al cervello un segnale che viene elaborato come informazione sul colore. Il violetto, che corrisponde a una lunghezza d’onda compresa tra 400 e 420 nm, viene recepito solamente dai coni S, mentre il viola causa una stimolazione combinata di due tipi di coni diversi, quelli responsivi alla luce blu (S) e quelli responsivi alla luce rossa (L).
Dalla consapevolezza empirica del fatto che il viola si ottiene dalla mescolanza di blu e rosso, molte culture hanno attribuito, già nell’antichità, un significato mistico a questo colore che, tra l’altro, in natura è poco rappresentato.
Il viola in India è il colore tradizionalmente associato al sesto chakra, quello della chiara visione, della concentrazione, della meditazione. Nell’Europa medievale, il viola era considerato un colore estremamente cupo, un parente stretto del nero, tanto da essere chiamato subniger. Nella cultura cristiana è il colore associato al raccoglimento e alla penitenza, usato per secoli come alternativa al nero per i paramenti liturgici dei cosiddetti tempi forti (avvento e quaresima) e di lutto (il nero è stato solo recentemente abbandonato in favore del viola). In corrispondenza di quaresima e avvento venivano vietati gli spettacoli di ogni tipo, con gravi conseguenze economiche per chi viveva di queste attività. Da qui pare nasca la superstizione diffusa fra gli artisti, che vieta tassativamente gli abiti viola a teatro.
Il viola era inoltre un colore molto apprezzato dai potenti per l’abbigliamento, in quanto il processo di tintura delle stoffe era complesso e costoso. Il pigmento utilizzato, la porpora, era difficile da reperire (veniva estratto da un mollusco) e ne servivano grandi quantità per ottenere una colorazione apprezzabile. Gli abiti viola rendevano quindi facilmente riconoscibile lo status di chi li indossava.
Ma non è questo il motivo per cui il primo colorante sintetico della storia (creato in laboratorio tramite processi artificiali, senza l’uso di materie prime vegetali o animali) è stato proprio una sfumatura di viola, il cosiddetto “mauve”. Nel 1856 il chimico inglese William Henry Perkin, cercando di sintetizzare il chinino (sostanza usata come antimalarico), ottenne per caso un composto dalle ottime qualità coloranti, la “porpora di anilina”. Questa scoperta semplificò di molto il processo di colorazione dei tessuti, rendendo il viola non più esclusivo ma decisamente popolare.
Il viola insomma attraversa la storia della fisica, della biologia, della società e dell’arte. Inoltre, sebbene possa sembrare un’inutile curiosità, è anche il mio secondo colore preferito.