Come le lingue artificiali possono cambiare il modo in cui leggiamo la società
“Rompu, rompu la murojn inter la popoloj!”
Abbattere i muri che si ergono tra i popoli. Un’esortazione emblematica del progetto Esperanto, la lingua internazionale (lingvo internacia, in esperanto), nelle parole del suo ideatore Ludwik Lejzer Zamenhof, che dalla Białystok di fine ’800 sognava un ponte linguistico che avvicinasse le persone, una piattaforma democratica nella forma di una lingua neutrale, condivisa, e alla portata di tutti.
La logica e i valori della comunicazione come strumenti essenziali dell’interrelazione dunque, un tema squisitamente attuale all’interno delle dinamiche del villaggio globale, in cui l’esperanto si pone ancora oggi come proposta di sintesi linguistica, nel rispetto e nella salvaguardia delle culture nazionali e locali. Una sintesi universale, ma con un valore aggiunto. La forte regolarità morfologica è certamente uno dei fattori di maggiore interesse delle lingue pianificate come l’esperanto, che le rende più facili da apprendere rispetto a linguaggi naturali, ma sebbene questi tratti possano aiutare ad acquisirne più facilmente le regole basilari, la vera sorpresa è anche il loro potenziale sociolinguistico. Una prerogativa che sottende importanti valori sul piano interpersonale. Attorno alle lingue artificiali, prima fra tutte l’esperanto, si sono infatti sviluppate vere e proprie comunità, ciascuna con le proprie caratteristiche sociolinguistiche. Come sostenuto in uno studio del 2017 dal Prof. Federico Gobbo – attualmente professore ordinario presso l’Università di Amsterdam con cattedra speciale in Interlinguistica ed Esperanto – ciò che si forma attorno a una lingua pianificata è quindi una «comunità di pratica, non una comunità linguistica nel senso classico»1. Ma non soltanto. Questi dati nascondono un aspetto di socialità ancor più edificante, dove uno degli elementi che rendono uniche le comunità strutturate attorno alle lingue artificiali è il fatto che «le persone vengono accettate indipendentemente dalle loro categorie sociali di appartenenza, un aspetto totalmente interno alla loro costruzione»2.
Un aspetto transculturale e dal sapore cosmopolita, soprattutto nello scenario europeo. Come in Italia, dove il principale riferimento per l’esperanto è la Federazione Esperantista Italiana (FEI), che nel 2024 ha dedicato – certamente non a caso – il suo 90° congresso al tema della «competenza linguistica e interculturale», rinnovando il ruolo della comunicazione come finestra sul mondo e sul prossimo. La Prof.ssa Laura Brazzabeni, attuale presidente della FEI, sostiene che: «Imparare l’esperanto può migliorare la capacità di analizzare e comprendere la struttura delle lingue aiutando a comprendere i principi fondamentali della grammatica e della sintassi. È il caso, ad esempio, del “Metodo Paderborn”, ideato per l’apprendimento linguistico nei bambini, che utilizza l’esperanto come base per lo studio di altre lingue, sfruttando la sua semplicità e regolarità, il quale ha dimostrato che studenti che hanno studiato una lingua artificiale semplice, acquisiscono una seconda lingua molto più facilmente».

Questo fenomeno è certamente vero per l’esperanto, spesso considerato come la lingua artificiale di maggior successo – al netto dei suoi “discendenti” come ido, europanto o interlingua – con una comunità ormai diffusa a livello globale, una fiorente letteratura ed una forte cultura condivisa. E non unicamente come fenomeno socioculturale: dal punto di vista strettamente linguistico le lingue artificiali rappresentano uno strumento in grado di migliorare considerevolmente lo studio di altre lingue, aprendo la porta al resto del mondo. Il valore aggiunto. Siamo ormai consapevoli del modo in cui la lingua modifichi il modo in cui leggiamo la realtà: lingue diverse sono legate a differenti strutture sintattiche, differenti logiche morfologiche e quindi differenti dinamiche cognitive. La nostre lingue madri ci pongono davanti agli eventi in maniera originale e più personale di quanto si possa percepire nel quotidiano. Il valore metalinguistico conferito dallo studio delle lingue artificiali è quindi anche uno strumento di forma mentis per aiutarci a decostruire le dinamiche delle nostre lingue, più consapevoli del modo in cui aprirsi al prossimo, interpretare il mondo non soltanto insieme, ma sullo stesso piano.
È il caso della rivista internazionale “Monato”, mensile di attualità, politica, scienza e cultura nato nel 1979. Un’esperienza editoriale che trova forza nei suoi corrispondenti, presenti in oltre 45 paesi, ognuno con la propria lingua e dunque un personale “filtro” dell’attualità del proprio territorio. Anche in questo caso, la notizia attraversa un processo di reinterpretazione linguistica dove l’esperanto non si rende quindi un semplice contenitore neutro, ma uno strumento in cui i fatti non vengono filtrati da una singola cultura dominante, raccogliendo voci diverse, creando un mosaico di prospettive, offrendo un’informazione che nasce dal dialogo tra culture, non dalla mera traduzione della propria lingua.

Secondo Alessandra Madella – docente di cinematografia ed esperanto all’Università di Zaozhuang, in Cina – lo studio di una metalingua facilita infatti la presa di coscienza della lingua materna, attraverso il metodo della “linguistica contrastiva”3, spingendo ad una riflessione sulla diversità e similitudine delle strutture nelle varie lingue. Ma più in generale le caratteristiche dell’esperanto suggeriscono una difficoltà di apprendimento inferiore rispetto ad altre, rendendolo un candidato ideale per lo stimolo dell’apprendimento linguistico in ambito scolastico, facilitando lo sviluppo di quella che viene definita “consapevolezza metalinguistica”4. Nel 20015, Maria Antonietta Pinto e Renato Corsetti hanno condotto un esperimento pilota in una scuola media italiana incentrato sulla relazione fra l’apprendimento dell’esperanto e lo sviluppo di abilità metalinguistiche in due gruppi di alunni. Dopo un anno di studi, il gruppo che ha seguito un corso di esperanto ha dimostrato un grado di consapevolezza metalinguistica della lingua madre significativamente migliore rispetto al gruppo di controllo, con conseguenze positive anche nell’apprendimento di altre lingue. Sebbene in differenti studi gli effetti positivi dell’esperanto siano stati dimostrati in ambiti ristretti alle lingue indoeuropee, questi dati sono in linea con i risultati di precedenti ricerche sugli effetti propedeutici dell’esperanto, che permette di sviluppare conoscenze metalinguistiche e favorire un apprendimento attivo per altre lingue tramite “decondizionamento intellettuale”6.
Un aspetto che lo stesso Zamenhof aveva intercettato già nella prefazione del suo “Unua Libro” (1889) – letteralmente “Primo libro” – nel quale descrisse i fondamenti dell’esperanto. Sottolineava come, già anticipando il mondo interconnesso della globalizzazione con il predominio culturale dell’inglese quale lingua internazionale, «parlando nella nostra lingua madre, siamo spesso costretti o a prendere parole ed espressioni da popoli stranieri, o a esprimerci in modo impreciso e persino a pensare in modo confuso a causa dell’insufficienza della lingua». Una riflessione ancora aderente alla società di oggi, almeno nelle sue prerogative. Si tratta ora di capire in quale direzione dirigersi. La risposta dovrà nascere da quale tipo di volontà sociologica attribuire allo strumento della lingua, tenendo a mente come significati culturali, logici e linguistici siano inesorabilmente connessi e decidere che immagine di società voler coltivare insieme.
Fonti
1,2 Gobbo, F. (2017). Are planned languages less complex than natural languages?
3,6 Madella A. (2023). L’esperanto: facilità di apprendimento e aiuto nello studio di altre lingue.
4 Tellier & Roehr-Brackin (2013). Metalinguistic awareness in children with differing language learning experience.
5 Pinto, Maria A. & Corsetti, Renato (2001). Ricadute metalinguistiche dell’insegnamento dell’esperanto sulla lingua materna dell’alunno: Un’esperienza nella scuola media italiana.