Anatomia di una mente criminale

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Eloquenza e trasparenza dei colori nella psichiatria della violenza umana

La possibilità di una connessione causale tra un’area nervosa alterata, da un lato, e la criminalità e/o la violenza dall’altro, è stata evidenziata da alcuni studi che hanno dimostrato come un trauma cranico in individui apparentemente normali possa causare l’insorgenza di comportamenti sgarbati disinibiti. Lesioni alla corteccia prefrontale, all’amigdala e all’ippocampo (questi ultimi due appartenenti al sistema limbico), aree atte alla regolazione, tra le tante altre cose, del comportamento, delle motivazioni, delle emozioni, dell’apprendimento e della memoria, causano disturbi antisociali, incapacità di reagire in modo adeguato alle aspettative sociali, limitate capacità critiche e di giudizio, instabilità emotiva, mancanza di empatia, rifiuto delle norme sociali, difficoltà nella gestione delle risposte comportamentali all’ambiente, violenza e aggressività.

In particolare, sono stati trovati livelli più elevati di aggressività in veterani di guerra che avevano subìto ferite penetranti alla testa localizzate nella corteccia prefrontale.

Per studiare il sistema nervoso in un paziente vivo si utilizzano molteplici tecniche, tra cui quelle di neuroimaging. Si tratta di strumenti biomedici che, mediante sofisticati sistemi di visualizzazione a colori, possono diagnosticare malattie neurali, analizzare metabolismi farmacologici o evidenziare aree encefaliche attivate previa stimolazione.

Le metodiche di questa tipologia diagnostica si avvalgono di apparecchiature ingegneristiche all’avanguardia al fine di giungere a un denominatore comune: la ricostruzione di una bioimmagine dell’encefalo, tridimensionale o in sezione.

La tomografia computerizzata (TC) in particolare sfrutta l’assorbimento dei raggi X da parte del volume cerebrale da delineare, e la loro differente attenuazione lungo i vari tessuti riscontrati in base alla loro densità.

La risonanza magnetica funzionale (fMRI) si basa sul variare delle proprietà magnetiche dell’emoglobina in funzione della presenza di ossigeno legato a essa (diamagnetica quando ossigenata, paramagnetica quando non lo è). In corso di attività neurale, un’area encefalica richiede un maggior consumo di ossigeno, che viene prelevato dall’emoglobina: si verifica così una variazione di segnali magnetici provenienti da quell’area (Blood Oxygenation Level Dependent), che è alla base della ricostruzione dell’immagine.

La morfometria basata sui voxel (VBM) demarca le asimmetrie cerebrali nell’ordine del voxel (la controparte tridimensionale del pixel, che invece è bidimensionale) confrontando il disegno cerebrale di un soggetto con quelli di un atlante anatomico elettronico.

La tomografia a emissione di positroni (PET) si serve di un radiofarmaco, formato da un radio-isotopo tracciante legato chimicamente a una molecola metabolicamente attiva (spesso uno zucchero), che si diffonde nell’area da analizzare, previa iniezione nell’organismo. L’isotopo di breve emivita decade, emettendo un positrone (che è costituito di antimateria, antiparticella dell’elettrone). Dopo un percorso che può raggiungere al massimo pochi millimetri, il positrone si annichila con un elettrone, producendo una coppia di fotoni gamma emessi in direzioni opposte tra loro. Questi ultimi creano un lampo luminoso su uno scintillatore, rilevato attraverso tubi fotomoltiplicatori: dalla misurazione della posizione in cui i fotoni colpiscono il rilevatore, si può ricostruire l’ipotetica posizione da cui sono stati emessi.

L’analisi delle immagini cerebrali ottenute con queste tecnologie consente di pervenire a mappe cognitive o motorie che illustrano l’associazione tra un’area neuroanatomica e la sua funzione. Di contro, la rilevazione di alterazioni metaboliche e/o anatomiche dell’individuo potrebbe essere associata a comportamenti patologici, devianti o perfino criminali.

Il primo a sperimentare un approccio scientifico riguardante la criminologia fu il medico Cesare Lombroso, a fine Ottocento: egli sosteneva che il criminale aveva tratti morfologici distintivi, anomalie somatiche e costituzionali, pertanto era possibile prevedere la natura criminale del “delinquente nato”. La teoria è stata superata dalle neuroscienze che presuppongono metodologie di individuazione dell’inclinazione criminale basate non sull’anatomia del soggetto, ma sulle analisi funzionali del suo encefalo attraverso tecniche di neuroimaging, studiando le variabili neurologiche associate con la violenza e in generale con la criminalità.

Yang e Raine (Los Angeles, 2009) hanno infatti evidenziato mediante MRI che individui violenti, aggressivi, assassini, affetti da disturbo antisociale della personalità (“sociopatici”, caratterizzati tra le altre cose da deficit emotivi, inabilità a sentire rimorso e senso di colpa, irresponsabilità, impulsività ed avversione alle leggi) o da disturbo psicopatico della personalità (“psicopatici”, affetti da disturbo antisociale, audacia, egoismo, mancanza di empatia e rimorso, impulsività, ipocrisia, insensibilità, sadismo, uso malevolo di seduzione e manipolazione per scopi personali) hanno un volume ridotto del 22,3% della materia grigia (area ad alta concentrazione di corpi di neuroni) in primis della corteccia prefrontale, poi della circonvoluzione cingolata anteriore, della corteccia temporale, dell’amigdala e dell’ippocampo.

Anderson, Widdows e Harenski (Albuquerque, 2020) hanno analizzato le immagini cerebrali di 808 criminali (divisi in tre gruppi per gravità di violenza: assassini, violenti ma non assassini e criminali minimamente violenti) elaborate con VBM e hanno puntualizzato una minor presenza di materia grigia nei criminali assassini nella corteccia prefrontale (nelle sue suddivisioni orbitofrontale e ventromediale), nella corteccia cingolata anteriore, nella corteccia temporale anteriore e nell’insula.

Questi studi però non chiariscono se questi deficit siano comparsi al momento della nascita o se si siano sviluppati nel tempo, sebbene alcuni pazienti affetti da demenza nell’area frontotemporale destra acquisita manifestino comportamenti sociopatici (Los Angeles, 2005).

Il professore di neurocriminologia Kent Kiehl ha raccolto le immagini dell’attività cerebrale di oltre tremila criminali incarcerati negli USA, immagazzinandole nel più grande archivio di neuroscienze forensi del mondo, e ha sottolineato la possibilità di prevenzione dei disturbi comportamentali curando (quantomeno alleviando i sintomi) e allenando l’area encefalica malfunzionante, recuperando così la funzione a essa associata, soprattutto nei soggetti in giovane età nei quali il cervello non è completamente formato.

Danni o anomalie neurologiche non sempre però conducono allo sviluppo di comportamenti aberranti e, altrettanto, non sempre chi agisce in modo non conforme è necessariamente affetto da disfunzioni cerebrali. È altresì innegabile che anche le contingenze biochimiche e genetiche esercitino un’influenza rilevante sull’attività neurale, condizionando di conseguenza l’agire stesso.

Ad esempio, mutazioni del gene MAO-A, che sintetizza l’enzima monoamino ossidasi A, implicato nel metabolismo dei neurotrasmettitori dopamina, adrenalina, noradrenalina e serotonina, causerebbe deficit dell’attenzione, iperattività, alcolismo, abuso di droghe, impulsività, abbassamento del QI e disturbo antisociale della personalità, predisponendo il soggetto che ne è affetto ad aggressività e violenza. È opportuno sottolineare che tali vulnerabilità genetiche e biochimiche risultano avere un peso ancor più significativo qualora l’individuo abbia più di un deficit biologico o sia cresciuto in un contesto familiare, culturale o sociale negativo.

Traendo le conclusioni, la valutazione comportamentale di un soggetto psichiatrico non può essere sostituita dalla valutazione del suo cervello tramite il neuroimaging o dagli studi genetici: attualmente infatti la psichiatria forense è orientata verso la formulazione di un modello olistico, multifattoriale, eretto da variabili biologiche, psicologiche, sociali e culturali per la descrizione della neuropatologia alla base della condotta criminale, in grado non solo di rivelare la criminodinamica ma anche di prevenire la criminogenesi.

Naturalmente l’apporto delle tecniche di neuroimaging alla psichiatria forense alimenta quelle teorie criminologiche che privilegiano l’aspetto bio-antropologico nella genesi del crimine, e porta a concepire quindi i criminali come soggetti con un libero arbitrio quantomeno ridotto. La teoria dell’uomo nato delinquente di Lombroso risulta quindi errata e inadatta al diritto penale, tranne per un aspetto: le radici della violenza si trovano nel cervello.

Antonio Sepe

Antonio Sepe

Radicato multipotenziale, ingegnoso progettista, tenace ricercatore, ambizioso studente di Medicina e Chirurgia

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