“You get four guys all fighting over who’s gonna be Mr. Black”
In Reservoir Dogs (Le Iene in Italia) i rapinatori di una banda criminale vengono ribattezzati con nomi di colori dal boss Joe Cabot, provocando lo scontento di Mr. Brown e Mr. Pink. Tuttavia, le loro proteste lasciano indifferente Cabot, che mette una metaforica museruola ai suoi cani concludendo lapidario: “Se vi lasciassi scegliere, vi azzuffereste per chiamarvi Mr. Black”.
Anche i più refrattari nell’ammettere che i colori abbiano un’influenza sulla vita reale probabilmente capiscono la scena. Mr. Brown associa il colore agli escrementi e Mr. Pink trova il rosa troppo “femminile” per un delinquente. Forse Joe Cabot avrebbe potuto assegnare nomi più adatti, se avesse saputo che esistono pigmenti veramente criminali e capaci di compiere delitti perfetti (al contrario della sua banda al guinzaglio).
Già dalla preistoria si usavano pigmenti ricavati da elementi naturali facilmente reperibili, quali terre, minerali e perfino frutti schiacciati, come i mirtilli. La necessità di trovare pigmenti più intensi e duraturi spinse alla sperimentazione, che portò alla creazione del primo grande criminale nella storia dei colori: il bianco di piombo. Prodotto grazie alla corrosione del piombo tramite acidi, questo bianco molto coprente venne impiegato sin dal 2000 a. C. in tutto il mondo antico, dall’Egitto alla Corea, per molteplici usi domestici e artistici.
Il bianco era utilizzato anche nella cosmesi, in creme e ciprie, perché la moda della pelle candida imperversò per secoli, dal Giappone medievale alla corte della regina Elisabetta. Il pallore era uno status symbol in quanto una dama, a differenza delle contadine che lavoravano nei campi, non era costretta a esporsi alla luce del sole. Per esaltare il candore delle nobili si ricorreva a cosmetici a base di piombo, cosparsi sul volto e sul petto. La buona notizia è che l’azione tossica del piombo è lenta perché il metallo non si assorbe facilmente attraverso la pelle. La cattiva è che può essere ingerito e inalato, e gli effetti sono estremamente nocivi soprattutto sui bambini che le madri potevano avvelenare durante l’allattamento e anche attraverso ogni contatto fisico con il volto e il petto cosparsi di cipria.
Il bianco di piombo è stato bandito ma, per dare un’idea della tossicità del materiale, si calcola che ancora oggi il piombo in circolazione in varie forme uccida circa un milione di persone all’anno.
Altro colore tossico è l’orpimento, un giallo oro amato dai pittori per la sua brillantezza. Il nome deriva dal latino aurum pigmentum, anche se questo colore era in uso già nell’antico Egitto. Le prime vittime dell’orpimento furono gli schiavi che lo estraevano dalle miniere. In seguito fu oggetto di esperimenti da parte di alchimisti incauti, che cercarono di estrarne oro, ingannati dal suo colore brillante. Sfortunatamente per loro questo minerale non contiene il prezioso metallo, bensì arsenico al 60%.
Meno letale, a parte il processo produttivo, è il vermiglione, detto anche cinabro, composto da solfuro di mercurio. In passato il pigmento veniva preparato mischiando zolfo e mercurio e durante la produzione si potevano sprigionare fumi tossici. Come il bianco di piombo veniva usato nella cosmesi, per truccare guance e labbra. In tempi più recenti, la palma di grande sterminatore va invece al verde di Scheele e ai suoi derivati. Preparato nel 1775 e poi commercializzato dal 1778 da un chimico svedese, questo verde altamente tossico contiene arsenico. Scheele occultò inizialmente questa informazione, per favorire le vendite, e con successo: il verde venne impiegato ovunque nell’Inghilterra vittoriana, dalla carta da parati, ai tessuti, ai colori per artisti, fino addirittura ai coloranti per alimenti.
La passione per questo colore fu tale che, anche quando la tossicità venne confermata pubblicamente a partire dal 1871, nessuna legge fu promulgata per proibirne l’uso. Intanto i bambini finivano avvelenati da chicchi di uva finta dipinti di verde, o dalla carta da parati, e le signorine danzavano avvolte da un’invisibile nuvola di arsenico che si sprigionava dalle loro ampie crinoline verdi. Si supponeva che la vittima più illustre di questo colore sia stata Napoleone, il quale, una volta imprigionato dagli inglesi a Sant’Elena, dormiva in una camera tappezzata di verde. Tuttavia accurate analisi hanno smentito questa teoria.
Il colore più moderno dalla provata tossicità è un arancione brillante usato a partire dal 1930 per decorare le stoviglie dalla società canadese Fiesta. Dovendo mettere in commercio servizi di vasellame a basso prezzo, si decise di utilizzare l’uranio, che all’epoca era un materiale di scarto e quindi poco costoso. Il colore arancione avrebbe dovuto rallegrare la popolazione colpita dalla crisi della Grande Depressione e, da un punto di vista di marketing, fu un grande successo. Le stoviglie si diffusero nel nord America finché la produzione dovette cessare, durante la Seconda Guerra mondiale, quando le riserve di uranio della Fiesta vennero confiscate dal governo per essere impiegate a fini bellici.
Negli anni successivi furono eseguite analisi più o meno attendibili, che provarono come la tossicità delle stoviglie fosse minima, accresciuta leggermente dall’uso di cibi acidi ma comunque irrilevante per la salute anche dopo un uso protratto e continuativo. Le stoviglie vennero comunque ritirate dal commercio, e poco si sa anche del livello di intossicazione di chi aveva lavorato nella filiera di produzione di quelle stoviglie all’uranio.
Tanti colori diversi, tutti probabilmente bellissimi, ma capaci di mietere un numero di vittime impossibile da quantificare; colori al cospetto dei quali anche il più feroce Mr. Black resta soltanto un dilettante.